Chiara Marchetti - Catechesi Familiare
«Ore 6.20. Il sole del mattino di una giornata bellissima, limpida e già luminosa avvolge la basilica. Venendo a piedi da Castel S. Angelo è già uno spettacolo e avvicinandosi alla piazza, si rimane davvero senza fiato. La sagoma bianchissima della basilica che si staglia sul cielo azzurro, il Bernini che ci accoglie con le braccia aperte dello splendido colonnato, sono la proiezione del nostro desiderio di una Chiesa madre e aperta al mondo. La città riposa ancora. La piazza è vuota come non capita mai di vederla. Silenzio. Pace. Attesa di una giornata che vedrà fiumi di persone che la attraverseranno per passeggiare con ritmi lenti o camminare frettolosamente, calpestarla con le ruote delle automobili, prigioni che ci impediscono di alzare lo sguardo e osservare, incontrarsi, parlare... Ora no, tutto tace e la bellezza riempie gli occhi e il cuore. Costeggiando il colonnato arriviamo in piazza Sant'Uffizio e mi viene da sorridere. Quanti secoli di storia, quali paure e ombre ridesta questo nome, eppure è la stessa Chiesa che oggi apre le sue porte per dirci che è cambiata, che è cresciuta, che non dobbiamo temere. E ci fa sentire a casa, lì dove non osavamo sperare di entrare. Arriviamo all'appuntamento più emozionati che assonnati. Ancora non sembra vero. Qualche piccola formalità per identificarci, ma è tutto molto tranquillo e semplice da essere sorprendente. Poco dopo siamo dentro. La semplicità di tutto nuovamente mi affascina. L'ambiente è intimo, accogliente, luminoso, ma niente sfarzi, né lussi. Pochi fiori, arredi sobri, solo la scritta in latino di invocazione allo Spirito Santo mi ricorda che siamo nel cuore della Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Mi inginocchio. Non posso non accorgermi che l'inginocchiatoio è un po' sfondato. Mi fa piacere, spero in cuor mio che al posto del tappezziere, la quota sia andata alle docce dei senzatetto appena fuori di qui. Seduti, aspettiamo. Eccolo. Entra. È solo, e da solo si mette dietro l'altare e inizia a celebrare sommessamente, assaporando e facendoci gustare la bellezza della liturgia. Ogni singola parola che tante volte ho ascoltato distrattamente la sento ora risuonare con tutta la forza che esprime quando trova un terreno pronto ad accoglierla. Vedo questa persona così importante per la Chiesa e il mondo nella sua estrema semplicità e insieme nella sua assoluta grandezza. Mi ricordo i racconti di nonni e genitori che ricordavano in vecchiaia di aver visto magari solo una volta, da molto lontano, nella basilica, il successore di Pietro trasportato sulla sedia gestatoria e impartendo benedizioni. Un puntino lontano. Una persona irraggiungibile. Sento che anche io quando sarò vecchia potrò ricordare e raccontare questo momento, e guardare quanta strada lo Spirito ci ha fatto percorrere. Gratitudine e coscienza di un dono grande, immenso. Il tempo è tiranno e, inutile dirlo, vola. La breve, ma come al solito, vibrante e appassionata omelia mi trasporta in un’altra dimensione, quella dove improvvisamente tutto appare chiaro, evidente, sereno. La nostra vita, con gli affanni, le incertezze, le preoccupazioni, i timori si ritrova ricca di senso e di pace. Il sentiero da percorrere adesso mi sembra chiarissimo e bellissimo, anche se in salita. Quando risuonano le parole di Gesù sugli ultimi che saranno i primi e i primi gli ultimi, mi viene da pensare che la mia presenza lì rischia di dirmi che dopo tanti anni ancora non ho capito granché del Vangelo... Alla fine il Papa esce per togliersi i paramenti e quando si siede in fondo alla chiesa in mezzo a noi per ringraziare, un grande silenzio ci avvolge. Sentiamo che davvero siamo troppo pieni di parole, mentre il silenzio ci nutre, ci disseta, ci rigenera. Ora ci alziamo perché il nostro Vescovo ci aspetta per salutarci personalmente. E questo gesto assume una naturalezza incredibile dopo quest’ora passata insieme. E certo che è così, perché non dovrebbe? Come un parroco che la domenica ti stringe la mano, ti chiede come stai e ti incoraggia ad andare avanti. Perché, cosa c’è di strano? E la Marta che è in me, che si affanna e si agita per molte cose e che con me che era entrata nella cappella a lei dedicata, lascia il posto a Maria, che ha scoperto la parte migliore e sente che non le verrà tolta.»
|